mercoledì 14 gennaio 2015

LIBERA SATIRA IN LIBERO STATO

A seguito dei tragici fatti di Parigi relativi alla strage dei giornalisti di Charlie Hebdo e delle altre vittime dei terroristi fondamentalisti islamici, riteniamo utile pubblicare il testo di una relazione tenuta da Tullio Monti nel 2010 sul tema della satira religiosa che ci pare di grande attualità.
Passato il clamore degli eventi e spentesi  le luci dei riflettori dei media è questo il nostro contributo alla riflessione su quanto avvenuto ed è questo il nostro modo per dire
CONTRO IL TERRORISMO DI OGNI MATRICE POLITICO-RELIGIOSA
CONTRO TUTTI I FONDAMENTALISMI, GLI INTEGRALISMI E I CLERICALISMI RELIGIOSI
CONTRO LO “SCONTRO DI CIVILTA’” E LE GUERRE DI RELIGIONE
CONTRO IL RAZZISMO, LA XENOFOBIA, L’ANTISEMITISMO E L’ISLAMOFOBIA
CONTRO TUTTE LE CENSURE POLITICHE E RELIGIOSE
PER LA PACIFICA CONVIVENZA FRA I POPOLI E FRA GLI INDIVIDUI DELLE PIU' DIVERSE CONCEZIONI DEL MONDO
PER LA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE E DI SATIRA
PER L’ABOLIZIONE IN TUTTO IL MONDO DEI REATI DI BLASFEMIA
PER LA LIBERTA’ DI COSCIENZA, DI PENSIERO E DI RELIGIONE
PER LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE, QUALE VALORE UNIVERSALE FONDATO SULLA SEPARAZIONE GIURIDICA FRA STATO E RELIGIONI E SULLA NEUTRALITA' DELLE ISTITUZIONI


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LIBERA SATIRA IN LIBERO STATO

Relazione introduttiva di Tullio Monti al convegno del 29 maggio 2010

“Satira, fedi religiose e libertà di espressione nella società contemporanea”

in occasione dell’inaugurazione della Mostra storica

“Asini, muli, corvi e maiali: la satira in Italia tra Stato e religioni dal 1848 ai giorni nostri”
realizzata dalla Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni

Definizione di satira

“La satira è la forma espressiva con la quale si mettono alla berlina i potenti. Ne enfatizza i difetti con sarcasmo, ironia, trasgressione e paradosso. Esagera i fatti, li racconta con toni surreali e usa metafore dissacranti (…) Paradossale e dissacratorio è il linguaggio. A volte parte da fatti di cronaca e li rende inverosimili o surreali. Fa ridere, ma può essere un pugno allo stomaco. Dal punto di vista del diritto, la satira non è cronaca. E non è quindi strettamente vincolata alla verità. Ma dalla verità deve trarre spunto. E’ una forma estrema di critica che, non narrando ma esprimendo un giudizio, può avvalersi perfino di un lessico aspro o di un tratto di penna dissacrante senza trascendere in ingiurie gratuite. Rispetto alla critica, che è solo un’opinione, la satira ha in più valore artistico. Quell’arte che, fin dai tempi antichi, ha avuto il ruolo di ‘castigare ridendo mores’. E che additando alla pubblica opinione aspetti censurabili di una persona, raggiunge con il frizzo e la riflessione un risultato etico. Tentare di imbrigliarla e di definirne i limiti è come tentare di afferrare il vento con le mani. Per sua natura la satira non dovrebbe avere limiti.” (Luisa Pronzato su “Almanacco Guanda” 2009)

Cosa prevede la legge

“Nel nostro ordinamento, la satira è tutelata dalla Costituzione, con l’art. 21, coma forma espressiva e con gli artt. 9 e 33, per il pregio artistico che la contraddistingue.
La Costituzione, tuttavia, tutela, con l’art. 2, pure i beni che la satira può ledere: l’onore, la reputazione e l’immagine della ‘vittima’. La tutela di questi beni sarà possibile ricorrendo alla querela e al giudizio civile, tutelati da un’altra norma costituzionale, l’art. 24. Per il giudice si tratterà quindi, di bilanciare interessi contrapposti e di medesimo rango (cioè costituzionali). E di stabilire, volta per volta, se la satira ha rispettato i limiti, nel qual caso l’autore non sarà punito; o se li ha superati, nel qual caso l’autore sarà condannato a risarcire i danni causati (…). Entra in campo, in particolare, l’art. 51 del Codice Penale, secondo il quale chi commette reato, esercitando un diritto, non è punibile. E l’art. 21 della Costituzione conferisce a chi fa satira, appunto, il diritto di farlo. A porre limiti alla satira, quale che sia la sua forma espressiva – vignette, opere teatrali, film, monologhi – sono le sentenze che, occupandosi di casi particolari, dettano criteri generali. Così, per esempio, grande rilievo è conferito alla dimensione pubblica del personaggio oggetto della satira (…). La suscettibilità personale non può essere un metro di valutazione della condotta, perché è normale che la ‘vittima’ non gradisca. In particolare, come abbiamo visto, tanto più una persona è nota, tanto più i limiti della satira diventano ampi ed elastici.” (Luisa Pronzato su “Almanacco Guanda” 2009)

Satira e libertà di espressione

La libertà di espressione, di cui la satira costituisce la forma estrema, è il più sicuro termometro per misurare il grado di liberalismo di una società e per giudicare se questa può essere definita una “società aperta”, oppure no.
La storia della censura comincia in età classica e attraversa i secoli, segnando i regimi autoritari, ma anche le democrazie liberali.
Nell’antica democrazia ateniese Aristofane dovette fare i conti con la censura, così come i poeti della Roma antica (Lucilio, Orazio, Giovenale), che con le loro satire attaccavano vizi e costumi della società.
Nel Rinascimento la satira divenne un genere autonomo: in Italia con le “Satire” di Ludovico Ariosto, in Francia con “Gargantua e Pantagruel” di Francois Rabelais, mentre i teatranti della Commedia dell’Arte in tutta Europa consideravano la satira un valore di libertà.
Nella società contemporanea, oltre alla censura, sempre occhiuta, due sono i nemici insidiosi da cui la satira deve guardarsi: l’autocensura e il “politically correct”.
L’autocensura è figlia della “dittatura della paura”, che i poteri forti instaurano anche nelle società liberali; il politicamente corretto, che già impazza in ogni angolo delle nostre esistenze, adesso tenta di irrigimentare anche le nostre fantasie. Viviamo al cospetto di uno Stato, di una Morale, di una Chiesa, di una Pubblica Opinione con il dito perennemente alzato per ricordarci ciò che possiamo o non possiamo dire e fare.
Ma la satira, anche quella religiosa, è per definizione politicamente scorretta. Come ricordava Wodehouse, tutto quel che c’è di divertente nella vita, o è immorale, o è illegale, o fa ingrassare. Se la satira (e più in genere l’arte) è fantasia e sogno, almeno lì lasciateci sognare: libera satira in libero stato!
L’arte deve essere sempre libera, l’artista lo deve sapere, non deve avere vincoli per esprimere quello che sente, deve poter irridere anche il potere e i sentimenti religiosi; ma deve anche sapere che, con altrettanta libertà, chi non condivide la sua opera può criticarlo, anche duramente. A volte, i motivi che spingono l’artista a spingersi al limite della blasfemia, possono anche essere strumentali, quali la voglia di stupire a tutti i costi o il desiderio di facile visibilità; altre volte, per suscitare reazioni critiche che richiamino l’attenzione.
Il conflitto fra due principi egualmente encomiabili (ma spesso antagonisti e difficilmente conciliabili), ossia la libertà di espressione e il rispetto delle convinzioni religiose, è sempre in aguato. Spesso la risoluzione di tale conflitto è legato al buon gusto ed al valore artistico della satira, che tuttavia sono anch’essi concetti del tutto soggettivi e contestabili. Ma se davvero il potere politico o quello religioso dovessero avere la meglio, nell’esercitare le loro indebite pressioni sui media, o peggio ancora, se la stampa o gli artisti si autocensurassero, allora, malauguratamente, si potrebbe dire che avrebbero vinto i fanatici e gli intolleranti. Tuttavia, per fortuna, nel nostro paese, così come in tutto il mondo libero, esiste ancora una grande maggioranza di cittadini che ritiene che valga pur sempre la pena di discutere tutte le questioni sociali, compresa la libertà di stampa e di religione, anche se qualche estremista può prendere di mira, sia con la violenza verbale, che con quella delle armi, la libertà di espressione.
Occorre respingere la richiesta, proveniente da alcune religioni, di godere di uno “statuto” particolare e privilegiato, rispetto alle altre forme di manifestazione del pensiero; le religioni non possono e non devono costituire una “zona franca”, all’interno della quale la libertà di espressione non abbia libero accesso e le libertà civili non siano in vigore.
Voltaire, nel 1763 nel suo “Trattato sulla tolleranza”, consigliava, quale antidoto alle intolleranze, non la passione che acceca, ma l’ironia “che spegne tutti i roghi”.

Opinioni sulla satira

“La libertà di espressione ha fatto la grandezza dell’Europa a partire dal Rinascimento” (Andre Glucksmann)
“La satira ha una componente di moralismo e una componente di canzonatura” (Italo Calvino)
“Satira è un piangere antico”. “Esplosione, rovesciamento, irrisione. Satira è saper correre i cento metri sotto i nove secondi” (Gaio Fratini)
“Questo scatto fulmineo, questa emozione dolorosa e questo potere dissacrante hanno tuttavia un prezzo: la censura, appunto, che della satira certifica il valore al di là di qualunque conseguenza. E quindi al di là di pressioni, divieti, denunce, oscuramenti, addomesticamenti, soppressioni, emarginazioni, condanne, multe, anche galera, a volte. Tanto più è variegata la censura, quanto più ambigua la nozione di satira. E tuttavia è la minacciata punizione che forgia la creazione satirica e ne alza il livello e gli da spessore (…) Le difficoltà frapposte dai censori (…) non solo aguzzano l’ingegno, ma lo purificano anche, rendendo la libertà più sacra della paura.” (Filippo Ceccarelli)
“Rivolgiamo un appello a tutti i giornali italiani perché solidarizzino con quelli danese e francese. Crediamo che questo sia un modo efficace per dimostrare ai seguaci dell’oscurantismo più reazionario che non siamo disposti a cedere le nostre convinzioni democratiche di fronte a nessuna minaccia.” (Appello  di Adriano Sofri e di Staino, sulla vicenda delle “vignette sataniche”)
“Sarebbe forse ora che la smettessimo di ingoiare le minacce dei fondamentalisti e che tutti insieme, attraverso i nostri organismi nazionali e internazionali (la Commissione Europea per cominciare) mettessimo in atto una comune strategia di forza tranquilla che proibisce la censura per pavidità. E che facessimo sapere a tutti i paesi musulmani e a tutti gli estremisti religiosi del mondo che mai rinunceremo alla libertà di espressione, alla critica e alla satira, anche delle religioni, e che non accetteremo un ritorno all’inquisizione e alla punizione delle eresie, al medioevo islamico”. (Francesco Merlo)
“Noi disegnatori satirici ci troviamo in prima linea nella guerra contro l’intolleranza, il politicamente corretto e, vedi alla voce Danimarca, contro gli integralismi religiosi. L’attacco contro la satira riguarda tutti. Mettiamocelo bene in testa: è una minaccia contro la libertà di espressione. Fare satira sulla religione è complicato, certo: ma dobbiamo continuare a disturbare potenti e integralisti religiosi. Oggi, forse, serve uno sforzo d’immaginazione maggiore. Sono convinto però che sia ancora possibile”. (Jean Plantureux, alias Plantu, vignettista principe di “Le Monde”)
“Non è un mistero che ci sono alcuni artisti, o presunti tali, che fanno opere blasfeme proprio con lo scopo di essere criticati ed apparire, così, vittime-martiri di chissà quali censure ecclesiali. Col risultato che ottengono più attenzione sui mass media. L’importante è non cadere in questi tranelli. Forse la cosa più giusta è far finta di niente. Non dimentichiamo che un personaggio come D’Annunzio esultò quando seppe che i suoi libri erano stati censurati dalle autorità ecclesiali e messi all’Indice.” (Vittorio Messori)
“La satira è figlia di primo letto della critica.” (Sergio Saviane)
“Processare il diritti di satira è sempre stato il primo passo per abolire di fatto il diritto di critica (…) Se si insinua che il papa possa essere omosessuale, peraltro non (ancora) un reato, allora si finisce sotto processo (…) nel frattempo possiamo contentarci dell’abolizione di fatto del diritto di satira sulla chiesa.” (Curzio Maltese)
“Di questo passo condanniamo anche Dante. Anche il sommo poeta, in fondo, aveva mandato un papa all’inferno, Bonifacio VIII, lo ricordate? Lo aveva messo in un foro in mezzo a un grande fuoco. E che dire di Jacopone, condannato e messo in una galera così tremenda da uscirne a pezzi (…) Di questo passo torniamo alla legge di Federico II di Svevia del 1225 contro i “jugulares obloquentes”, contro i giullari triviali sparlatori, che incitava i cittadini a bastonare i giullari che si permettevano di insultare la autorità costituite, anche procurando loro la morte”. (Dario Fo)

CASI CELEBRI DI ATTACCO ALLA LIBERTA' DI ESPRESSIONE

Cinema

Nel 2004 usciva in Olanda “Submission” (“Sottomissione”), una delle possibili traduzioni del termine arabo “Islam”, cortometraggio della durata di 10 minuti, girato in inglese dal regista olandese Theo Van Gogh (pronipote del celebre pittore fiammingo), su soggetto della scrittrice Ayaan Hirsi Ali. Il film parla delle donne maltrattate, picchiate e violentate in famiglie musulmane; nel film i corpi delle donne vengono usati come una tela su cui riportare versetti del Corano.
Come conseguenza all’uscita del film, venne pronunciata una “fatwa” di morte conto Van Gogh e Hirsi Ali e nel novembre 2004 il regista venne assassinato in pieno centro di Amsterdam da un estremista islamico con doppia cittadinanza marocchina-olandese, vestito in abiti tradizionali arabi, per sottolineare la propria appartenenza culturale e religiosa, che gli sparò otto colpi di pistola e successivamente gli tagliò la gola con un pugnale; nella pancia del regista, dopo l’assassinio, l’omicida piantò due coltelli, uno dei quali infilzava un documento di cinque pagine con minacce ai governi occidentali, agli ebrei e ad Hirsi Ali.
Da allora il film è stato ritirato dalla proiezione dal suo produttore, anch’egli minacciato ripetutamente di morte, ma è comunque reperibile in Internet.
Nel 2008, sempre in Olanda, uscì il cortometraggio di diciassette minuti “Fitna”, girato da Geert Wilders, che cercava di dimostrare il carattere a suo dire fascista dell’Islam e paragonava il Corano al Mein Kampf di Hitler. Il regista è il leader e fondatore del Partito per le Libertà (di destra xenofoba), che alle ultime elezioni politiche in Olanda ha conquistato circa il 20% dei voti. Ovviamente anche Wilders è stato raggiunto da pesanti minacce di morte.

Teatro
Nel 1963 vide la luce “Il vicario”, dramma teatrale dello svizzero Rolf Hochhuth, che accusava Papa Pio XII di “silenzio” sull’Olocausto di sei milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale. L’opera fu rappresentata a lungo in Germania e poi anche a Londra, Parigi, New York; in Italia, pubblicata da Feltrinelli (con la prefazione dello scrittore cattolico Carlo Bo), visse una sola sera, interpretata da Gian Maria Volonté, nella versione di Carlo Cecchi, ma venne immediatamente censurata, con ulteriori minacce di scomunica da parte della gerarchie cattoliche. Infatti, la prima e unica prova generale, in un teatro-cantina a Roma, venne bloccata per “inagibilità del locale” dalla polizia, che assediò per tre giorni gli attori, e poi vietata dal Prefetto, in osservanza al Concordato. “Sono uscito con le ossa rotte da quella vicenda”, disse allora Gian Maria Volonté, che, assieme a Carlo Cecchi, non riprese mai più quel testo.

Ernesto Rossi, che da tempo aveva acquisito i diritti per la rappresentazione in Italia de “Il vicario”, per conto del “Movimento Gaetano Salvemini”, non riuscendo a realizzare la messa in scena del dramma, dovette ripiegare sull’organizzazione di un importante convegno sullo stesso tema, che venne definito dai clericali “un convegno al solito anticlericale e filocomunista” e che incorse anch’esso negli strali della Chiesa cattolica.
“Il vicario” nel 2002 divenne poi un bellissimo film, dal titolo “Amen”, del grande regista Costa Gavras.
A oltre quarant’anni da quel 1965, il dramma teatrale “Il vicario”  infine venne riproposto, nel 2007, a Milano dal Teatro Filodrammatici e interpretato dagli attori di Antonio Latella, alla presenza dell’autore, quasi ottantenne, che in quel occasione rivendicò per intero le tesi del suo dramma, anche alla luce del controverso processo di beatificazione di Pio XII, che tante polemiche politiche, religiose e storiografiche sta ancor’oggi creando.
L’attrice Sabina Guzzanti, per le frasi pronunciate dal palco di una manifestazione politica in piazza Navona, a Roma, nel luglio 2008, è stata incriminata per vilipendio nei confronti del papa, con l’accusa di “aver usato parole grevi e volgari”. La Guzzanti aveva detto: “grazie alla legge Moratti fra vent’anni gli insegnanti verranno scelti direttamente dal Vaticano, ma fra vent’anni Ratzinger sarà dove deve stare, cioè all’inferno, tormentato da diavoloni frocioni attivissimi e non passivissimi”. Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi!

Scultura
Nell’estate del 2008 esplose il caso della “rana crocifissa”, scultura dell’artista Martin Kippenberger, esposta al Museo di Arte moderna di Bolzano. Papa Benedetto XVI, in vacanza a Bressanone, scrisse personalmente una lettera al Presidente del Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige per invitarlo a porre fine all’esposizione di tale scultura che “ha ferito il sentimento religioso di tante persone che nella croce vedono il simbolo dell’amore di Dio e della nostra salvezza, che merita riconoscimento e devozione religiosa”.

Forte dell’appoggio papale, che venne anche invocato e sollecitato da manifestazioni di piazza degli “schutzen”, il Consiglio della Fondazione Museion, di nomina politica, ha costretto alle dimissioni la direttrice del museo, Corinne Diserens, che si ostinava a difendere la legittimità dell’esposizione dell’opera, che, in tre mesi di mostra, era stata visitata da oltre 26 mila persone. Alla fine, la scultura della rana crocifissa venne rimossa.
Nel novembre 2007, in un giardino pubblico di Vienna, fu collocata una scultura in bronzo, a grandezza naturale, dal titolo “Locum – delizia turca”, raffigurante una donna nuda, con indosso soltanto un foulard “islamico”, realizzata da un famoso artista tedesco, Otto Metzel. Tale scultura rapidamente attirò su di sé gli strali della comunità turca di Vienna, che chiese la rimozione dell’opera, ritenuta offensiva della propria identità religiosa. La statua, qualche mese dopo, fu divelta dal piedistallo e abbandonata a terra da parte di due emigrati turchi.
La nudità della statua non dava adito in alcun modo a seduzione o provocazione sessuale, bensì, messa in contrasto con il copricapo (simbolo della sottomissione e del pudore sessuale femminile), intendeva rappresentare l’isolamento della donna musulmana emigrata, vulnerabile, strappata alle sue radici e collocata in un ambiente estraneo: l’opera rappresenta pertanto la difficoltà della donna emigrata a trovare la propria strada e la propria identità all’interno della società europea ed occidentale.
La statua venne poi rimossa e successivamente acquistata da un giovane miliardario turco, per la sua collezione d’arte privata.

Informazione televisiva

Nel luglio del 2009, il vaticanista del TG3, il giornalista Roberto Balducci, commentando la partenza del papa per le vacanze in Val d’Aosta, disse: “Domani il papa va in vacanza e ci saranno anche 2 gatti…che gli strapperanno un sorriso, almeno quanto i proverbiali 4 gatti, forse un po’ di più, che hanno ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare le sue parole.” Apriti cielo!
L’on. Giorgio Merlo (PD), vicepresidente della Commissione di Vigilanza RAI, scrisse: “è singolare e inconsueto che una testata importante come il TG3 scivoli in questa anacronistica e volgare deriva anticlericale”. Il direttore del TG3 (il cosiddetto telegiornale di sinistra) si affrettò ad assicurare che Balducci “non seguirà più il Vaticano”, cosa che poi effettivamente avvenne.
Come commentò su “Riforma”, il settimanale degli evangelici italiani, il giornalista Giorgio Gardiol, “la mordacchia era una maschera di ferro chiudibile a cerniera, adoperata per punire le donne accusate di stregoneria. Fu applicata anche agli eretici, per impedire loro a parlare: Giordano Bruno fu condotto al rogo con la mordacchia. Il vaticanista del TG3 Roberto Balducci ne sta sperimentando una ‘moderna’. Deve tacere.
Di quale eresia è portatore?(…) Non si fanno battute, più o meno spiritose, sul papa. Servilismo di stato: neoguelfo”.

Pubblicità

Manifesti e spot pubblicitari sono da sempre sotto accusa: non importa se sono divertenti o irriverenti, oppure se, come spesso accade, anticipano e descrivono la realtà del nostro vivere contemporaneo. Oggi, come ieri, la pubblicità divide, mette in discussione pensieri e morale.
Come ha commentato l’antropologo Marino Niola, “la verità è che la pubblicità è rabdomantica. Capta i segnali di cambiamento e li racconta con le armi dell’ironia e del sorriso. Ed è proprio la mancanza di giudizio morale che allarma i censori”.
Come non ricordare, nel 1971, uno dei primi manifesti-shock della storia della pubblicità italiana, quel “chi mi ama mi segua” che troneggiava sul sensuale fondoschiena di una ragazza strizzata dentro ai suoi hot-pants di jeans marca “Jesus”, oppure, sempre per la stessa casa di abbigliamento torinese, lo slogan “non avrai altro jeans all’infuori di me” che campeggiava sul tronco di un giovane dal sesso indefinito, con la cerniera dei jeans aperta fino al limitar del pube. Fu l’esordio dirompente di Oliviero Toscani ed Emanuele Pirella a concepirla. Lo scandalo fu enorme, così come le richieste di censura.
Così come pure fu Toscani, nel 1986, a lanciare una splendida campagna pubblicitaria per Benetton, denominata “il ciclo della differenza”, fra le cui immagini spiccava quella, per la verità non trasgressiva, ma dolcemente sensuale, del bacio sulle labbra, non proprio castissimo, di un giovane prete ad una altrettanto giovane suora. Anche in quel caso proteste ed alte grida da parte delle gerarchie cattoliche.
Nel 1993 toccò alla marca automobilistica francese Renault: nello spot un distinto signore si sposava quattro volte e sempre con la stessa Renault 19. Allora ad arrabbiarsi fu monsignor Fihey, vescovo di Coutances e d’Avranches in Normandia, che, ironia della sorte, viaggiava proprio sullo stesso modello di Renault 19.
Nel 2007, un sacerdote, don Marco Damanti, denunciò un innocente spot natalizio della birra Red Bull come blasfemo, perché nel raffigurare l’adorazione dei magi nella capanna di Betlemme, disegnava, anziché i “canonici” tre magi recanti in dono oro, incenso e mirra, anche un quarto “mago”, di sesso femminile, recante in dono “birra”. Il solerte e zelante chierico fustigatore doveva possedere una soglia dello scandalo piuttosto bassa.
E nel 2009 grandi polemiche destò lo spot televisivo della Renault “New Scenic” che descriveva le gesta di un giovane e trafelato padre di famiglia che, in una giornata qualunque, faceva da autista e andava a raccogliere i propri figli (in un discreto numero di 4 o 5), chi a scuola, chi in piscina, chi a danza, i quali erano la risultanza di due matrimoni, un divorzio, una convivenza di fatto e qualche altra avventura, non dichiarata ma sussurrata: insomma, una famiglia allargata come oggi ne esistono tante. Infatti lo spot, con leggerezza ironica, terminava con lo slogan “new Renault Scenic, facciamo posto a tutte le famiglie”.
Tuttavia, l’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra, evidentemente dotato di minor senso dell’ironia, tuonò delle pagine di “Avvenire”, il quotidiano dei Vescovi italiani: “Mi è capitato di vedere uno spot che per promuovere la capacità di un’auto esalta la poligamia. Un’auto che consente all’uomo di raccogliere tutti i bambini avuti dalle mogli. Cose inammissibili in un Paese che riconosce la monogamia come un valore indiscutibile. Quel filmato deve essere sospeso”. Il fatto che lo spot non accennasse minimamente alla poligamia, bensì al divorzio e alle coppie di fatto, era un dettaglio del tutto trascurabile.
La Renault sottolineò l’assenza di proteste negli altri paesi e per bocca del suo responsabile della comunicazione specificò che “l’arcivescovo non ha forse interpretato lo spirito di uno spot che fotografa la realtà, quella di famiglie allargate e di genitori separati (…) Lo spot è stato oggetto di accurati pre-test di gradimento e non sono mai emersi commenti di tipo etico”. Mai dire mai…

Letteratura

Nel 1988 lo scrittore saggista britannico di origine indiane, Salman Rushdie, scrisse “i versi satanici”, una storia fantastica, ma chiaramente allusiva nei confronti della figura di Maometto, che venne ritenuta blasfema dagli islamici.
La pubblicazione del libro provocò nel febbraio 1989 una “fatwa” (sentenza/maledizione) di Khomeini che decretò la condanna a morte del suo autore, reo di bestemmia. Un privato cittadino offrì una taglia per la morte dello scrittore, tollerata dal regime iraniano. Rushdie riuscì a salvarsi rifugiandosi in Gran Bretagna e vivendo, tutt’ora, sotto protezione.
Il traduttore giapponese del romanzo, Hitoshi Icari, fu però ucciso da emissari del Governo iraniano, mentre il traduttore italiano, Ettore Capriolo, fu ferito, così pure come l’editore norvegese del libro.
Nel 2004 la scrittrice somala musulmana, Ayaan Hirsi Ali, rifugiata politica e poi cittadina e deputata liberale olandese, pubblicò il suo primo libro dal titolo “Non sottomessa. Contro la segregazione nella società islamica”, la più radicale e coraggiosa posizione mai apparsa per la libertà della donna nell’Islam. Il libro, che comprendeva anche la sceneggiatura di “Submission”, il film del regista Theo Van Gogh, si pubblicò contemporaneamente in molti paesi d’Europa e costituì un caso letterario internazionale. Hirsi Ali venne condannata a morte e minacciata dagli integralisti islamici, costretta a vivere sotto scorta e poi a rifugiarsi negli Stati Uniti.
Nelle librerie italiane arriverà soltanto a settembre 2010, con un titolo già pronto per far discutere: “Il buon Gesù e il cattivo Cristo” (Edizioni Ponte alle Grazie) dell’autore britannico Philip Pullman, inserito nel 2008 dal “Times” fra i cinquanta più grandi scrittori inglesi dal secondo dopoguerra. Il libro è finito nel mirino dei cattolici integralisti, che lo hanno definito “blasfemo”, opera di “un uomo malvagio” e meritevole di “tutte le pene dell’inferno”, in quanto “dissacratore della figura di Cristo”. L’opera ha tuttavia ricevuto le lodi di critici autorevoli, come Charlotte Higgins, del “Guardiane” e dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, primate anglicano d’Inghilterra.

Vignette satiriche

Nel settembre 2005 la versione online del quotidiano danese Jyllands – Posten pubblicò una serie di 12 caricature di Maometto, che vennero poi definite “vignette sataniche”, una delle quali rappresentava il profeta con una bomba nascosta nel turbante. Dopo 5 mesi (un lasso di tempo lungo e assai sospetto), nel febbraio 2006, si verificarono violentissime proteste di musulmani fondamentalisti, che le giudicarono blasfeme, in molti paesi islamici. Nel mirino dei fanatici, che dal Pakistan, alla Siria e alla Palestina, dall’Iran all’Indonesia, dall’Egitto all’Afghanistan, non vi fu solo la Danimarca (le cui ambasciate vennero prese d’assalto), ma tutta l’Unione Europea e l’insieme dell’Occidente, accusato di essere empio e blasfemo: oltre 150 persone persero la vita nei disordini e l’autore danese delle vignette Kurt Westergaard venne minacciato di morte e deve vivere, da allora, sotto scorta.
In molti, in tutt’Europa, invocarono la libertà di parola e le vignette vennero pubblicate sia in Olanda che in Francia.
Nel gennaio 2010 Kurt Westergaard, un uomo di sinistra di 77 anni, costretto in quattro anni a cambiare ben sei appartamenti per sfuggire alle minacce di morte, all’interno della sua abitazione venne attaccato a colpi di accetta da un estremista islamico somalo, ma riuscì a salvarsi, rifugiandosi in una camera “blindata”. A seguito di questo tentativo di assassinio, non si registrò in nessun paese europeo, alcuna manifestazione pubblica di solidarietà al vignettista danese.
“Non c’è stata nessuna manifestazione. Hanno taciuto tutti. Chisseneimporta della libertà di stampa. Quelli con l’ascia fanno un po’ paura. Westergaard se la vedesse lui, con i suoi appartamenti blindati: se l’è cercata”, così annotava tristemente Pierluigi Battista su “Sette”.

Ci auguriamo che mai più nessuno, fra coloro che praticano quotidianamente la libertà di satira e con ciò stesso garantiscono anche la nostra libertà di espressione, debba essere vittima di fanatici assassini di matrice religiosa o politica, che pretendono di uccidere la libertà di tutti imponendo con la violenza le loro visioni oscurantiste e portatrici di morte. Una risata li seppellirà!

Noi oggi, con questo convegno e con questa mostra storica sulla satira religiosa, vogliamo dare il nostro contributo culturale alla causa della libertà di espressione: una buona causa di libertà e di laicità!

Tullio Monti
Coordinatore della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni

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